Mi svesto per un momento dei panni attuali per indossare
quelli del ciclista che ero. Il mondo del ciclismo amatoriale in questi giorni è
scosso in modo evidente da un paio di clamorosi casi di doping.
Non voglio e non mi interessa entrare nello specifico, credo
che i nomi siano stati e saranno ripetuti a sufficienza. Voglio solo scrivere
un paio di miei pensieri, forse un po' controcorrente.
Gli appassionati si indignano, qualcuno ripropone la vecchia
idea di togliere le classifiche, mettendo al bando, de facto, le competizioni ciclistiche amatoriali. C'è chi parla di falliti del pedale, c'è chi inizia a tracciare confini; da una
parte i veri e genuini cicloamatori e dall'altra
gli esaltati della competizione composti da ex agonisti in disgrazia, finti amatori
travestiti da professionisti, operai che cercano il loro riscatto sul sellino
della bici, illusi cercatori di gloria.
Sbolliamo un momento i rancori, liberiamo il cuore dai
sentimenti e proviamo a ragionare con mente fredda.
Anzitutto, non credo vi sia un modo "giusto" di
fare qualcosa, e quindi nemmeno un modo "giusto" di fare ciclismo, al
massimo uno opportuno o meno. Nei limiti
del non danneggiare la libertà altrui, uno può vivere il proprio sport come
meglio crede. Quindi, basta crociate contro quella o quell'altra categoria di ciclisti.
Lo spazio per tutti c'è, solo che al momento è un open space dove tutti camminano a vanvera e si scontrano
tra di loro.
Il ciclismo, in Italia, è uno dei pochi sport che prevede
una netta distinzione tra categorie giovanili, professionistiche e amatoriali.
Semplificando, se a 23 anni non sei professionista hai di fronte a te una
infinità di modi con cui vivere la tua passione per la bici ma, in pratica, un
unico tipo di categoria a cui appartenere. L'amatore. Non sarebbe giusto creare diverse tipologie di tesseramento?
E magari, per chi ama
gareggiare, prevedere categorie per merito e non per età? Io inizierei a creare delle stanze nel suddetto open space.
Inutile, poi, scandalizzarsi di fronte ai bari. Le persone
che attaccano il numero alla domenica sono le stesse che ci ritroviamo di
fronte nella vita reale. Allora, quanti esempi di maleducazione, prevaricazione
e violazione delle regole si incontrano ogni giorno? Perché l'ambiente dello sport
dovrebbe essere diverso dal resto? Quindi scandalizziamoci per i malesseri
della società e non solo per quelli del ciclismo. Soluzioni facili e a breve
termine non ve ne sono, al massimo si possono cercare deterrenti. Non è insomma
il ciclismo il problema, è la società.
Un'altra cosa; non banalizziamo sempre tutto dicendo che gli
amatori sono malati perché si scannano per una bottiglia di salsa. A parte che
ognuno vive e lotta per ciò che può e poi, non fa parte del vero spirito
olimpico la premiazione simbolica? Agli atleti vincitori del passato non veniva
posta sul capo una povera ed inutile
corona d'alloro?
Ovvio, l'ambizione, come qualsiasi passione, può far nascere
negli uomini gesti nobili oppure meschini; eppure ha senso togliere la
possibilità di far vivere passioni solo perché possono portare a cattive azioni?.
Ha senso eliminare le gare? Il medico per sconfiggere la
malattia che fa? Uccide il paziente?
Allora, se questa è la soluzione, rinchiudiamoci nelle nostre stanze e saremo sicuri che non commetteremo più nulla di male...se non contro noi stessi
Gli amatori non sono una piaga, gli amatori possono essere
una risorsa. Sono loro che comprano le bici e tutto il resto ( e sono convinto
che senza più gare il mercato ne risentirebbe), sono loro (ovviamente non solo loro) che contribuiscono a
diffondere la cultura ciclistica e l'interesse per il ciclismo.
Mi sta anche bene, al limite,che vengano trattati solo come
vacche da mungere, purché siano almeno ben munte e il latte non venga rovesciato per terra.